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Episodio dell'eccidio della Candelora

La sera del 1 gennaio 1945, partigiani della 20ª brigata G.L. di pianura “A.Paglieri”, attaccano il municipio di Tarantasca governato da feroci repubblichini, uccidendo un agente di P.S. e ferendo altre quattro “guardie civiche” a tutela del segretario comunale Piero Gertosio. La mattina seguente, nell’ufficio del questore di Cuneo, Rodolfo Bonanti, e alla presenza del vice federale della RSI cuneese, conte Corrado Falletti di Villafalletto, si decide la rappresaglia. Tuttavia si ordina al tenente Dante Frezza, comandante il “plotone arditi di pubblica sicurezza” di recarsi con un camion carico di 30 agenti, un furgoncino e un moto-sidecar con la mitragliatrice piazzata, non a Tarantasca (ove vige l’autorità della RSI), ma alla frazione cuneese di S. Benigno che dista pochi chilometri in direzione di Cuneo. Nella campagna di S. Benigno i partigiani hanno impedito a squadre fasciste di effettuare requisizioni di prodotti agricoli non consegnati agli ammassi e nelle vicinanze si verificano frequenti sabotaggi alle linee di comunicazione stradali e ferroviarie. Si decide pertanto di punire quella popolazione e il tenente Frezza parte con l’ordine preciso di uccidere almeno 20 persone. A S. Benigno quel giorno si festeggia il “giorno della Candelora”, ossia un rituale della Chiesa di purificazione di Maria Vergine in cui si benedicono le candele. La popolazione, religiosissima, partecipa in massa alla cerimonia. Il tenente Frezza giunge in prossimità della chiesa parrocchiale e fa sparare a due giovani ritardatari: uno muore, l’altro scappa seppur ferito. Poi fa uscire tutti gli uomini dalla chiesa, li seleziona in base agli obblighi di leva e ai carichi di famiglia, sbarra le porte della parrocchia e, schierati 13 uomini lungo un muro, ordina il fuoco. Poi passa a dare a ciascuno il “colpo di grazia” e vieta la sepoltura, se non in forma mesta e riservata.